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Quello che leggo: Cecità e Il Condominio

Per caso mi è capitato di leggere uno di seguito all’altro due romanzi che vengono spesso accostati: Cecità, di José Saramago e Il Condominio di James G. Ballard (ringrazio Laura e Francesco per i regali).

Nonostante i vent’anni che li separano (Il Condominio è del 1975, Cecità del 1995) e le differenze di stile molto forti, entrambi i romanzi trattano lo stesso tema:

la regressione, l’imbarbarimento degli esseri umani quando le convenzioni sociali vengono meno.

in Cecità lo stimolo è dato da un’improvvisa epidemia che rende tutti i contagiati ciechi. Il Governo, che nel libro è un ente non specificato e astratto, fa rinchiudere tutti i malati in un vecchio manicomio, nel tentativo di fermare il contagio finché non si trovi una cura.

La reclusione, la malattia, la paura, il sentirsi abbandonati a loro stessi scatenano nei ciechi i più bassi istinti, liberano la violenza e la rabbia, fanno sì che, invece di collaborare, cerchino di prevalere sugli altri in un’ottica di “si salvi il più forte.”

In Il Condominio accade lo stesso, solo che in questo caso non sono poveri derelitti rinchiusi, ma ricchi professionisti che hanno scelto di abitare in un grattacielo di lusso dotato di tutti i servizi. il microcosmo chiuso però genera conflitti, che in breve sfociano in veri e propri atti di violenza.

Lo stile dei due romanzi è completamente diverso: dove Ballard è secco, preciso, quasi giornalistico, Saramago invece è onirico, ricercato: il suo sembra quasi un flusso di coscienza collettivo, pensieri, descrizioni e dialoghi dei personaggi si fondono, non c’è separazione tra una cosa e l’altra o, meglio, sta al lettore crearla.

Il Condominio mostra la violenza, senza filtrarla, Cecità la racconta, ma non per questo la rende meno d’impatto per il lettore. Entrambi mostrano il disfarsi della civiltà e il ritorno a una forma di organizzazione tribale, con piccoli gruppi di persone in lotta fra loro.

in Il Condominio emerge con forza la divisione in classi sociali, legata ai diversi piani del condominio, in Cecità le differenze si cancellano, appiattite dalla malattia che colpisce tutti indifferentemente.

Ballard dà un nome ai personaggi, una caratterizzazione, seppur a volte abbozzata: hanno un lavoro, un modo un aspetto, modi tipici; per Saramago i personaggi sono come archetipi: il ladro, il medico, la ragazza… non hanno nome, non sono individualizzati.

in Cecità tutto il mondo si disgrega, la malattia colpisce tutti, la reclusione è inutile; in Il Condominio il mondo viene estromesso dagli abitanti del grattacielo che si richiudono nel loro palazzo escludendo la vita al di fuori di esso.

Cecità, alla fine, un po’ di speranza la dà, Ballard invece è pessimista, non crede in nessuna possibilità di ritorno alla normalità una volta che le convenzioni sociali vengono scardinate, anzi, per lui la normalità è proprio quella del condominio.

Vi lascio con gli incipit dei due romanzi.

James G. Ballard, Il Condominio (trad. Paolo Lagorio)

Era trascorso qualche tempo e, seduto sul balcone a mangiare il cane, il dottor Robert Laing rifletteva sui singolari avvenimenti verificatesi in quell’immenso condominio nei tre mesi precedenti.

José Saramago, Cecità (trad. Rita Desti)

Il disco giallo si illuminò. Due automobili in testa accelerarono prima che apparisse il rosso. Nel segnale pedonale comparve la sagoma dell’omino verde. La gente in attesa cominciò ad attraversare la strada camminando sulle strisce bianche dipinte sul nero dell’asfalto, non c’è niente che assomigli meno a una zebra eppure le chiamano così.

Profondo Nordest e poesia

Ieri sono andato a Udine.

Beh, che c’è di strano? Direte voi, e infatti di strano non c’è niente, ma mi pareva un buon incipit per il post.

Insomma, sono andato a Udine perché la Libreria Tarantola, che vi invito a visitare se passare da quelle parti, ha ospitato la presentazione del progetto Digressioni Editore.

Di Digressioni vi ho parlato fino alla nausea: è una bellissima rivista, collaboro con loro da un anno, compratela perché merita, ecc. ecc. (a proposito: sta per uscire il numero nuovo). Ieri però la presentazione riguardava il progetto editoriale di Digressioni, ovvero la piccola casa editrice che è nata dalla rivista.

Se fondare una rivista è una follia, fondare una casa editrice è da Trattamento Sanitario Obbligatorio: le speranze di rimanere in vita dopo un anno sono pressoché nulle, i guadagni bassissimi e lo sbattimento enorme. In più devi anche avere a che fare con i disadattati che ti spediscono i loro manoscritti credendo siano dei capolavori. Per questo motivo nutro un’ammirazione sconfinata per Davide de Lucca, la mente dietro a Digressioni Editore: perché ha creato quello che io, con la mia razionalità di ferro, non ho mai avuto il coraggio di creare.

Perché dico tutto questo? per sbrodolarmi in lodi verso una cosa di cui, in qualche modo faccio parte? Non proprio: ieri infatti alla presentazione del progetto, sono rimasto colpito da una cosa:

la poesia è ancora viva.

E lo è davvero, non è una frase fatta per consolare quei pochi che ancora si esaltano di fronte a versi e libretti dalla copertina bianca, esiste tutto un sottobosco di persone giovani, brave e competenti che scrivono poesia, parlano di poesia, condividono poesia, promuovono poesia. Anche a Udine, anche nel profondo Nordest.

Io, come avrete capito, non sono un poeta, le mie uniche poesie risalgono all’adolescenza quando scrivevo cose tristissime andando a capo a metà frase e credevo di essere il nuovo Baudelaire. A me piace la narrativa, sento di non essere abbastanza profondo e attento ai dettagli per la poesia.

ma adoro i poeti. Mi piace il loro atteggiamento, il loro modo di pensare, i discorsi che fanno, il loro respirare continuamente la loro arte e, anche se li leggo poco, ringrazio che esistano.

Tutto questo per dire che ieri ho comprato Soglie di Transito, la raccolta di poesie pubblicata da Digressioni editore e, nella mia incompetenza, credo che dentro ci siano cose veramente belle.

Ovviamente se preferite la raccolta di racconti che contiene anche il mio Elegia per un Cantiere, non mi offendo mica…

Vi lascio con qualche foto della serata e con il link a un lavoro di Carlo Selan, che non è presente in Soglie di Transito ma collabora con Digressioni fin dagli esordi.

Letture a voce alta

Recentemente mi è capitato d leggere in pubblico alcuni miei racconti (questo e questo quasi per caso, e altri due alla festa di Natale di Digressioni).

Anche se non sono particolarmente bravo a farlo, leggere in pubblico mi piace, soprattutto quando si tratta di cose che ho scritto io, per cui, se capita, sono ben felice di farlo.

La lettura a voce alta, soprattutto di fronte a qualcuno che ti ascolta dal vivo, ha un sacco di difficoltà: intonazione giusta, volume della voce, ritmo, ecc. Quello che però mi crea più problemi è la velocità: io sono uno che legge veloce, parla veloce e tende pure a mangiarsi le parole, quindi quando leggo in pubblico devo forzarmi ad andare piano.

Sì, ma quanto piano?

Non è solo una questione di comprensibilità, ma anche di tempistiche: Quando ho aperto l’evento Ciarastea la scorsa vigilia di Natale in Loggia dei Cavalieri, mi è stato detto:

Prepara un racconto natalizio che si legga in due minuti

Certamente! Ma, in battute, quanto lungo è un racconto da due minuti?

Non lo sapevo, perciò ho chiesto aiuto al fido Google. Non so se ho cercato male ma non ho trovato molto, anzi l’unico risultato interessante è questa pagina, che vado a riassumervi qua sotto.

Il sito indica la velocità media di lettura ad alta voce (a mente si è più veloci) in parole e battute, che è:

125 parole/minuto

o, in alternativa, visto che mediamente una parola è fromata da 6 caratteri:

750 caratteri/minuto (spazi inclusi)

Sinceramente a me questi numeri sembrano bassini, vorrebbe dire che in due minuti si può leggere al massimo un racconto da 1500 battute, che è meno di una cartella editoriale (1800 battute).

Nel laboratorio di scrittura che sto seguendo per il master in Comunicazione delle Scienze a cui mi sono iscritto, abbiamo fatto una lezione sullo scrivere per la radio; in quel caso, la velocità massima di lettura per una notizia (non è proprio la stessa cosa che leggere di fronte a un pubblico in carne e ossa ma ci si avvicina) è stata indicata in:

180 parole/minuto

che, in caratteri, diventa;

1080 caratteri/minuto (spazi inclusi)

che forse è più ragionevole.

letture alla radio?

Io, per andare sul sicuro e non leggere “a macchinetta” mi sono tenuto sotto i 1000 caratteri/minuto e ho scritto un raccontino di 2000 battute. Alla fine sembra sia andata bene.

Se avete altri dati sulla velocità di lettura in pubblico ditemelo, mi piacerebbe saperne di più sull’argomento.

Dove vado: Ciarastea

La vigilia di Natale mi hanno chiesto di leggere un mio breve racconto (non più di 2 minuti di lettura a voce alta) per aprire Ciarastea, un evento benefico che si è svolto in varie piazze del centro di Treviso. Ovviamente ho accettato di buon grado per tutta una serie di motivi:

  • La richiesta è arrivata dalla direttrice artistica di Cartacarbone festival, che è stato chiamato per aprire la manifestazione;
  • come ho detto, l’evento serviva per dare sostegno e aiuto a Parent Project, un’associazione di pazienti e genitori con figli affetti da distrofia muscolare di Duchenne e Becker;
  • leggere, anche per pochi minuti, la vigilia di Natale nel pieno centro di Treviso in una Loggia dei Cavalieri addobbata a festa mi è sembrato un bell’onore e una discreta pubblicità.

A causa di qualche incomprensione con l’organizzazione, la pubblicità alla fine non è stata granché, ma il mio racconto l’ho letto e ho visto anche qualcuno tra il pubblico che sorrideva.

Eccomi a leggere in tutto il mio splendore! Grazie a Franco Favero per la foto

Se volete leggerlo anche voi, è qui e si intitola:

Babbo Media Manager

Nella sede della BN S.p.A., un elfo bussò all’ufficio del capo. «Buongiorno, signor Babbo.»
«Accomodati caro. Chi sei? Perdonami ma sto diventando vecchio, non ricordo più i nomi dei dipendenti.»
L’elfo si sedette. «Sono il Babbo Media Manager, signore.»
Babbo Natale finse di aver capito.
«E cosa posso fare per te?»
«Ho una proposta per modernizzarci un po’.»
Il principale si lisciò la barba.
«E cioè?»
«Le letterine signore, sono antiquate, ci sono i social network, è così che si comunica, oggi.»
Babbo Natale tolse il cappello rosso e si grattò la pelata.
«A me le lettere sembrano così poetiche…»
«Ma inefficienti, e antiecologiche, con tutta quella carta da smaltire. La gente oggi ci tiene, a queste cose.»
«Non sono convinto.»
«Si fidi di me, signore.»
Squillò il telefono. Un’ombra rannuvolò il volto di Babbo Natale. «Scusa ma devo andare, le renne minacciano uno sciopero, di nuovo. Se sei sicuro, procedi pure.»
«Grazie, signore.»
L’elfo creò i profili BabboOfficial su tutti i social. Fu un successo.
Si riuscì a sradicare la fake news che metteva in dubbio l’esistenza di Babbo Natale.
Il piccolo ufficio postale del Polo fu scaricato di lavoro.
Si capiva subito chi era stato buono.
Il principale era entusiasta.
Presto però nacquero i problemi.
Prima le richieste: la play, la voglio da un tera, altrimenti Leo piange; il trenino Lego mandamelo già montato, che non sono capace.
Poi le lamentele: trent’anni fa ti avevo chiesto il mostro di lava e non me l’hai portato!
Arrivarono i fanatici: io ti lascio solo latte di riso e biscotti gluten free.
Gli animalisti: maltratti le povere renne per il tuo tornaconto!
I complottisti: la tua slitta rilascia scie chimiche!
I comunisti: sei un fantoccio al servizio delle multinazionali!
E i cattocomunisti: e hai anche rubato il posto a San Nicola!
Facebook bloccò la pagina perché “non conforme alle linee guida della community.”
Ed è per questo che, anche quest’anno, a Babbo Natale i bimbi hanno spedito le letterine.

Dove vado: Volta la Carta

Capita che in questo periodo di feste di Natale (vi ho parlato della festa di Digressioni?), cene di Natale, spritz di Natale ci si perda qualche evento interessante. Ed è proprio quello che pensavo fosse successo a me con Volta la Carta, il primo di una serie di incontri, organizzati dalla scuola di scrittura Il Portolano, in cui si può leggere in pubblico un proprio breve testo.

L’evento era ispirato a De André che io conosco poco, e pensavo coincidesse con con la festa di Natale di Digressioni (ve ne ho parlato?), perciò avevo deciso di non partecipare. Ieri, però, dopo essermi accorto di aver sbagliato giorno, sono andato a vedere com’era la situazione.

Il problema di conoscere persone che organizzano serate di questo tipo è che rischi di venire prelevato di forza e buttato sul palco a leggere qualcosa che hai scritto, senza nessun preavviso. Ed è proprio quello che è successo a me.

Si cominciava verso le 18.00 e io mi sono presentato puntuale. Come capita spesso in questi casi non c’era ancora quasi nessuno, tranne Bruna Graziani, direttrice artistica di Cartacarbone e organizzatrice della serata, che, ancora prima di salutarmi mi dice: «Tu leggi, vero.» L’assenza di punto di domanda è voluta.

Solo che io non avevo preparato niente. Bruna insisteva, facendosi spalleggiare anche dalle sue complici, quindi ho lottato con la connessione 4G debole e ho scaricato un raccontino che ho scritto in un momento di disperazione quando ho accompagnato mio figlio a una festa di compleanno da MacDonald’s (se siete genitori potete capirmi).

Alcuni dettagli sono cambiati per proteggere la privacy dei bimbi e il finale non corrisponde alla realtà, però si tratta sostanzialmente di una storia vera.

Settenni

La festa dei settenni era appena iniziata e, puntuale come l’Happy Meal, era arrivato il mal di testa. Non c’era da stupirsi: chiudi una ventina di bambini in un McDonald’s e la pressione sonora supererà velocemente quella di un airbus al decollo.
Sedevo in un angolo, abbastanza vicino per controllare che mio figlio non venisse ucciso o uccidesse qualcuno, ma strategicamente defilato per non dover intrattenere conversazioni con qualcuno dei genitori che, ovviamente, non conoscevo. Croce e delizia del padre separato: sei spesso lontano da tuo figlio, ma non sei costretto a subire le continue feste di compleanno. Maledetti genitori, copulassero a ottobre, così i bimbi nascono in estate.
Avevo sperato fino all’ultimo in un malanno del festeggiato, un attacco di nausea di mio figlio, un blackout causato dalla pioggia, ma niente, tutti in perfetta salute e il locale con gli impianti elettrici in ordine. Odio questi McDonald’s così ligi alle regole di manutenzione.
Non potendo scappare mi sono dedicato completamente al telefonino, cercando un aiuto, seppur virtuale, da qualche contatto Telegram.
Ho inviato messaggi con metodo, partendo dalla A fino alla Z, ho mandato saluti perfino a Zibi Zeniadek, il muratore ceceno che mi aveva posato le piastrelle del bagno e di cui non sapevo nemmeno di aver salvato il numero. Mi ha risposto che non poteva aiutarmi e che, anche fosse stato disponibile, avrebbe preferito ripiastrellare i bagni pubblici di Grozny.
Gli amici, quelli veri che vedi nel momento del bisogno, invece hanno addotto scuse fallaci, come ad esempio l’abitare lontano. Ma cos’è la distanza tra Crema e Ladispoli quando devi salvare qualcuno da un’orda di settenni? Io, per un amico, sarei accorso. Non è vero, ma volevo farlo sentire in colpa. Ero solo e circondato, e nemmeno gli occasionali messaggi di sostegno potevano aiutarmi. Dovevo cavarmela da solo.
Ho pensato allora al gas: silenzioso, democratico, avrebbe steso indifferentemente genitori e bimbi e, lavorando bene sulle concentrazioni, sarei riuscito a non causare danni permanenti. Ho interpellato il mio mercante d’armi, purtroppo però le sostanze chimiche erano di difficile reperibilità e non sarei riuscito a ottenerle in tempo; lui insisteva sull’efficacia dei fucili automatici AKS a canna corta, ma aveva un concetto di “niente danni permanenti” piuttosto sfumato. Una leggera zoppia dovuta a un proiettile che frantumava la tibia o la sordità causata dalla raffica in un locale chiuso per lui non rientravano nel concetto di danno.
  La festa intanto continuava e il rombo dei bambini trapanava le orecchie. Nessuno ormai rispondeva più ai miei messaggi, mi avevano abbandonato, i bastardi.
A un tratto mi è venuta un’idea, dopotutto quello che diceva il mercante sull’efficacia delle armi da fuoco non era così sbagliato. Sono corso all’auto e ho aperto il bagagliaio: ricordavo bene, il mio vecchio costume da babbo natale era ancora lì. Ho afferrato il sacco e mi sono infilato nel bagno: la calzamaglia rossa mi andava un po’ stretta ma tutto sommato non stava male. Ho fatto irruzione nella sala della festa e sono piombato sopra un tavolo, calciando via bicchieri di Coca e McNuggets mezzi masticati. Genitori e bimbi mi hanno fissato ammutoliti, io li ho osservati tutti dall’alto ed ho emesso un ringhio basso e continuato. Qualcuno ha ridacchiato, l’ho fulminato con lo sguardo.
Tutti gli occhi erano puntati su di me, mi sono goduto il momento e mi sono concesso un sorriso sghembo, sono un maestro nelle pause a effetto. Poi ho urlato, più di tutti i bambini urlanti della città, ho estratto la vecchia Ruger, l’ho puntata in alto, poi verso i genitori che si sono buttati a terra con le mani sopra la testa. Sono saltato giù, rischiando di scivolare sul pavimento viscido, e mi sono precipitato fuori. 
Ho lasciato la macchina al parcheggio, qualcuno l’avrebbe recuperata e magari avrebbe anche riportato mio figlio alla madre, mentre io correvo in mezzo ai campi, sotto la pioggia, verso il mare.

Ed eccomi in tutta la mia bellezza mentre leggo il racconto dal telefonino. (foto di Franco Favero)

Dove vado: la festa di Natale di Digressioni

Non credo serva che vi dica cos’è Digressioni, ci sono praticamente più articoli in merito qui che sul sito ufficiale.

Però, però, qualcosa di nuovo ce l’ho da dirvi.

La prima cosa è che Digressioni è diventato un progetto editoriale (che è un modo figo per dire: “piccola casa editrice senza un soldo ma con tanto entusiasmo e voglia di fare”). Quindi che cambia? Per la rivista quasi niente, se non la possibilità di arrivare in più librerie ed essere distribuiti meglio; per il resto… usciranno dei libri a marchio Digressioni!

Per ora sono 3:

  • Un’antologia che contiene i migliori racconti pubblicati sulla rivista, tra cui il mio “Elegia per un cantiere” pubblicato sul numero 9, “Labirinti.”
  • Una raccolta di poesie, anch’esse pubblicate sulla rivista.
  • Una raccolta di saggi e racconti sulla storia dell’arte, scritti dall’espertissima Annarosa Tonin.

Quindi, cosa state aspettando? non lo vedete il nostro direttore pronto a firmare dediche e, soprattutto, ricevute?
Accatatevi i libri, li potete prendere sul sito e siamo pure su Amazon!

il Direttore galattico Davide De Lucca mentre firma ricevute per i moltissimi acquirenti dei libri Digressioni

In realtà, come si capisce dal titolo di questo post, non volevo fare pubblicità ai libri (non è vero, volevo farlo), ma parlare di altro:

la supermegafesta di Digressioni

Ieri sera, 18 dicembre, tutta la cricca di Digressioni si è ritrovata, assieme agli amici della rivista e a qualche cliente passato lì per caso, al Bar Radiogolden di Conegliano per sbevazzare, fare casino e leggere qualche brano dalla rivista e dai libri appena usciti (vi ho detto che Digressioni è diventata anche editore?) e sbevazzare ancora. C’erano anche le amiche di La Chiave di Sophia, ma loro sono persone serie e non si abbandonano all’alcol come noi.

Raccontare una festa è sempre difficile, si oscilla tra l’effetto “pensierino di scuola” e il “guardate che figo che era mentre voi sfigati non c’eravate,” quindi mi limiterò a dire che è stato davvero bello e che NOI eravamo fighi. Le letture sono andate bene e, modestamente, l’esperimento di lettura a due voci (Diego Tonini + Francesco Zanolla) è riuscito benissimo e potrebbe pure diventare un classico degli eventi Digressivi. Quindi, se volete vedere cosa vi siete persi, date un’occhiata alla photogallery qui sottto, mentre se volete leggere qualcosa di bello e aiutare un progetto interessante, andate su digressioni.com e fate la spesa!

Quello che leggo: la mappa delle mie letture

Vi ho già parlato della mappa delle mie letture, svelandovi quanto sono un nerd fissato con la catalogazione; bene, adesso, giusto per complicare tutto ho fatto delle modifiche.

La vecchia mappa classificava gli autori con uno schema di colori “qualitativo” (cioè ad minchiam): in blu gli autori famosi, in viola quelli che lo sono meno, in verde quelli c he conosco di persona… insomma era un po’ un casino.

La nuova versione invece è più scientifica: il colore rappresenta il periodo di nascita. Così la suddivisione è molto più semplice:
nati prima del 1800;
tra il 1800 e il 1850;
tra il 1851 e il 1900;
e così via, a intervalli di 50 anni, fino al 2000.

Così, per esempio, ho scoperto che ho letto un solo nato prima del 1800 (Mary Shelley, 1797) e nessuno nato dopo il 2000.

Non sono pienamente soddisfatto della mappa, gli strumenti di google mymaps sono un po’ poveri, mi piacerebbe inserire link alle biografie degli autori o ai libri, per renderla più interattiva, ma non mi semnbra si possa fare.

Se qualcuno conosce qualche strumento gratuito per creare mappe di questo tipo che funzioni meglio di google mymaps me lo faccia sapere per favore, intanto, ecco la mappa.

Quello che scrivo: L’Avvertimento

«La congiuntura storica e l’importanza paradigmatica dell’argomento mi impongono di trasgredire alla più fondamentale delle regole cronotopologiche ed essere qui con voi questa sera…»

Si fermò. Le persone lo fissavano con occhi sbarrati.

«Inferisco dalla vostra espressione che non mi comprendete, eppure mi sembrava di aver impostato il semanticatore sull’epoca corretta… poco male, farò senza.»

Infilò una mano in bocca, armeggiò un po’ ed estrasse un dente tenendolo tra pollice e indice. Dagli spettatori si levarono mormorii di disgusto, che divennero urla quando lui lo lanciò in mezzo ai tavoli.

«Che è sto casino? Mai visto cavare un semanticatore?» scosse la testa, «siete proprio una massa di babbi, scommetto che non sapete nemmeno come funziona… beh, quello neanche io… vabbè non importa, basta che ci capiamo.»

Tra il pubblico qualcuno aggrottò le sopracciglia.

«Sveglia!» gridò l’uomo, «e sì che mi avevano detto che eravate più intelligenti di noi…»

«Per quello ci vuol poco» commentarono dal basso, suscitando uno scroscio di risate.

L’uomo applaudì facendo il verso della foca. «Bravo, bravo. Adesso stai zitto e fammi parlare, ok?»

Un tappo a corona volò verso il palco e colpì l’uomo sulla fronte.

«Chi è stato, chi è lo stronzo che…»

«Ao, te decidi a parla’?» gridarono.

L’uomo lisciò i vestiti e si schiarì la voce. «Giusto. Dovete sapere che vengo dal futuro.»

«See, è arrivato John Titor!» Esclamarono.

L’uomo non si scompose e disse: «Non da quel futuro. Però sono qui per cambiare il corso della storia e se mi lascerete parlare vi spiegherò come.»

Tutti si zittirono, le luci si abbassarono e l’occhio di bue illuminò l’uomo in piedi di fronte al microfono, che iniziò a raccontare.

«Faccio parte di un piccolo gruppo di scienziati e uomini di cultura, come avrete sicuramente capito dalla mia intelligenza superiore.»

«See, come no!» Risatine. 

L’uomo fece una smorfia e continuò: «Un gruppo di scienziati che opera in clandestinità e che lotta per impedire quello che, secondo noi, porterà all’estinzione del genere umano.»

«Guarda che qua c’abbiamo già Greta che ce pensa lei!» commentarono dal pubblico.

L’uomo sbuffò. «Non parlo di quell’estinzione, abbiamo già sistemato tutto nel 2072.»

«Guerra nucleare?» chiesero.

«No.»

«Epidemia di ebola?»

«No.»

«Meteorite gigante?»

«No.»

«Trump?»

«No.»

«Il ritorno di Salvini?»

L’uomo rise. «Ma chi se lo fila quello!»

«E allora?»

«Nel futuro da cui vengo, grazie ai progressi delle biotecnologie, gli esseri umani sono diventati praticamente immortali.»

«I tuoi problemi, vorrei avecce!» gridò una ragazza dal fondo.

L’uomo sorrise. «Era quello che pensavamo anche noi, cosa c’è di meglio che essere immortali? L’umanità aveva sconfitto la morte, era diventata come Dio, l’eternità era di fronte a noi…»

«E invece?»

«E invece ci siamo scontrati con la realtà: un mondo di immortali è un mondo morto.»

«Ao, ha parlato er poeta!» commentò uno spettatore che in quel momento usciva dal bagno con una birra in mano.

L’uomo sul palco aggrottò le sopracciglia e si passò una mano tra i capelli. Sembrava che pensasse a qualcosa, però poi scrollò le spalle e continuò. «Immaginate di vedere sempre la stessa gente, di fare sempre le stesse cose, di mangiare sempre gli stessi piatti, e replicatelo per centinaia di anni; pensate di non avere nessuna urgenza, di non dover sbrigarvi a fare nulla perché tanto avete tutto il tempo del mondo di fronte a voi. Non siete morti biologicamente, ma lo è la vostra mente, morta di noia.»

Una donna sui quarantacinque si alzò. «Scusa vuoi fare a cambio? A me, tra figli da portare in giro, lavoro, e uno stronzo di marito che non mi aiuta mai, me ne servirebbero due di eternità per fare tutto.»

Le amiche ridacchiarono e fecero cenni di assenso, anche l’uomo rise, ma scosse la testa. «Tu pensi che sia così, ma la realtà è che essere immortali è una condanna, più che una benedizione.» Ci fu un mormorio tra il pubblico.

«Lo so, non mi credete, e non mi aspetto che lo facciate, però pensate a questo: che progresso può esserci in una società composta sempre dalle stesse persone? Che voglia di cambiare può avere chi ha le stesse abitudini da due secoli? La nostra è una civiltà morta, l’arte è solo ripetizione, la scienza non va avanti, è tutto fermo.»

«Annatevene allo stadio!» gridò un ragazzo con la maglia della Roma.

L’uomo sbuffò. «Sai quante volte ho visto il derby? Milletrecentododici, e sempre con le stesse formazioni, ormai non ne posso più.»

«Io Totti avrei voluto vederlo giocare per sempre» rispose il ragazzo.

L’uomo piegò la testa. «Credimi, non è così.»

«Ma nun c’avete figli? Gente nuova, pischelli?»

«E come potremmo? Le risorse sono limitate, nessuno metterebbe al mondo una creatura sapendo che non ci sarà da mangiare per tutti.»

«E che cazzo, allora ammazzateve fra de voi!» sbottò un uomo in ultima fila che aveva l’aspetto di chi avrebbe voluto volentieri far finire quella serata in rissa.

«Pensi che non ci abbiamo provato? Ma siamo diventati troppo codardi per ucciderci e troppo impediti per combattere. E poi abbiamo tutta una schiera di dispositivi e macchine predisposte per salvarci la vita, dipendiamo da loro e loro non ci lascerebbero mai morire.»

La platea era tornata silenziosa, l’uomo stava a capo chino sul palco, inondato dalla luce del faro, e il resto del locale immerso nell’oscurità sembrava fermo, congelato in una sorta di attesa triste. Dopo alcuni minuti un piccolo ometto, con gli occhiali tondi e pochi capelli, si alzò.

«Signore, la sua storia è certamente toccante, ma perché viene a raccontarla qui?»

L’uomo si drizzò e gonfiò il petto, lo sguardo risoluto dritto di fronte a lui. «Non avete capito? Sono venuto qui a chiedervi di bandire ogni ricerca sulle biotecnologie umane affinché questo scenario apocalittico non si verifichi mai!»

Gli spettatori parlottarono tra loro, poi una donna disse: «Ma che vuoi che facciamo noi, dove credi di essere, alle Nazioni Unite?»

L’uomo sbiancò in volto. «Veramente… sì.»

Tutti scoppiarono a ridere. «Buona questa, bravo!» gridarono, qualcuno fischiò.

«No, dico sul serio, queste non sono le Nazioni Unite?»

«A rincojonito, ma te sembra l’ONU questa? Nun vedi che stai sur palco de na birreria?»

«Birreria? Ma non siamo in via del Governo…»

«Del Governo Vecchio, sì, stamo ar centro de Roma, nel futuro nun te l’hanno insegnato che l’ONU sta a New York?»

L’uomo si lasciò cadere a terra, si prese la faccia tra le mani e cominciò a piagnucolare. «L’avevo detto io che i dati erano incompleti, che c’era qualcosa che non andava. Mi hanno spedito nel posto sbagliato, magari pure nel tempo sbagliato!»

«Quello non lo so, ma di sicuro non stai in America»

Alzò lo sguardo, le lacrime gli rigavano il volto che, all’improvviso, sembrava portare tutti i segni della sua età.

«E ora che faccio?»

L’altro si strinse nelle spalle. «Per stasera te fai du birette, domani, visto che passo de là, t’accompagno a Fiumicino che c’è n’amico mio che lavora in Alitalia, magari te rimedia un biglietto a basso prezzo.»

Quello che scrivo: L’ultimo uomo sulla Luna

Il primo, tutti a parlare del primo, ma dell’ultimo uomo sulla Luna non vi ricordate mai. No, non sto parlando di Gene Cernan, quello qualcuno lo conosce, sto parlando del vero ultimo uomo sulla Luna, il sottoscritto, James T. Caracciolo. 

Non è che io fossi esattamente il candidato migliore, con un cognome così la NASA non mi avrebbe mai fatto partire, loro cercavano veri eroi americani tutti d’un pezzo, ce lo vedete uno che si chiama Caracciolo farsi consegnare la medaglia dal presidente? Io però ho sempre sognato di fare l’astronauta, così mi sono fatto assumere dalla troupe di Kubrick come tutto fare.

Che c’entra Kubrick? Non ditemi che vi siete bevuti la storia del progetto Apollo? È tutto finto, una ricostruzione, vi pare che il Saturn V possa volare davvero?

Il vecchio Stanley comunque era un perfezionista e ha voluto carta bianca; certo, gli hanno detto i capoccioni della NASA, basta che fai una cosa che inganni tutti. Lui non ci ha pensato due volte, ha firmato il contratto e poi ha detto che se volevano un film verosimile non potevano girarlo in studio, ma in esterna. Fai pure, gli hanno detto gli alti papaveri, e lui: OK, allora portatemi sulla Luna. Alla NASA si sono guardati in faccia e hanno pensato: e adesso? Stanley però era irremovibile: Ho detto Luna e Luna deve essere.

Ed ecco che entro in gioco io. James, mi fa, tu che conosci tutti, non è che mi rimedi un passaggio spaziale?

Io chiamo certi miei amici italiani di Las Vegas, che nel quarantasette avevano aiutato i militari con una constatazione amichevole tra un P-80 e un trabiccolo pieno di omini grigi sopra Roswell, e tempo due settimane siamo tutti a far bisboccia a bassa gravità, Stanley fa il suo film, alla NASA sono tutti contenti e i Russi si mangiano il fegato condito con la vodka per l’invidia; tutto è bene quel che finisce bene.

Però adesso venitemi a prendere, che non ne posso più di questi nazisti che abitano sulla faccia nascosta, passano tutto il giorno a marciare e non offrono mai la birra.

Dove vado: FirenzeRivista

Ricomincio a scrivere sul blog dopo una lunga latitanza (ben motivata però, ne parlerò in seguito) facendo il resoconto di una bella esperienza che ho vissuto con i miei amici/colleghi di Digressioni. Ormai ho ripetuto fino alla nausea che collaboro con questa rivista culturale, e ho più volte ribadito che mi piacerebbe farla crescere e vedere la sua diffusione aumentare – questo , se non l’avete capito è un velato invito ad andare sul nostro sito o presso le nostre librerie amiche per acquistare una copia – anche frequentando qualche evento, cosa che abbiamo fatto nel weekend dal 20 al 22 settembre, partecipando a FirenzeRivista.

IL mondo delle riviste culturali italiane è piccolo ma sta attraversando una sorta di nuovo rinascimento: nuove riviste nascono ogni giorno, sia sul web che in formato cartaceo, e quelle esistenti stanno riscontrando un rinnovato interesse e una crescita dei lettori.

FirenzeRivista è il paradigma di questo fermento: è una manifestazione che raccoglie il meglio delle riviste indipendenti italiane, comprende una serie di incontri e presentazioni e una fiera in cui è possibile comprare copie delle riviste; è giunta alla sua quinta edizione e sta crescendo anno dopo anno, sia come numero di espositori che come pubblico. Quest’anno, per la prima volta, c’eravamo anche noi di Digressioni, sistemati nel “banchetto NordEst” assieme ai quasi conterranei di La Chiave di Sophia e Charta Sporca. Per tre giorni abbiamo presentato la nostra rivista al pubblico, chiacchierato con i rappresentanti delle altre, fatto compere e instituito i semi per collaborazioni future; per tre giorni abbiamo insomma respirato il clima che noi stiamo contribuendo a instaurare attraverso Digressioni.

Stare a Firenze durante la fiera non ha significato solo lavorare per far conoscere Digressioni, ma ha rappresentato anche un’enorme iniezione di ottimismo verso il futuro che, quando si lavora a una rivista indipendente, è quantomeno incerto.

Che ne sarà della nostra rivista? Ce la faremo a uscire con il prossimo numero? Ci leggerà qualcuno? Queste sono le domande che ogni giorno si pone chi realizza una rivista indipendente, e spesso le risposte non sono incoraggianti; partecipare a FirenzeRivista però mi ha fatto capire che sì, ce la possiamo fare e che sì, tutta questa fatica vale la pena farla.

Torno da Firenze soddisfatto e felice, perché Digressioni sta finalmente uscendo dal nido e imparando a volare, e anche perché ho finalmente dato un volto ad amici che conoscevo solo on line, in particolare Giovanni e Zeno di Quanto Magazine e la meravigliosa Anna di Frab’s Magazine Store, che tanto sta facendo per noi di Digressioni e per le altre riviste!

Come sempre vi lascio con la galleria di immagini.