Appunti di uno che scrive: le presentazioni

Diceva Patrick Fogli che le presentazioni sono l’unico momento in cui uno scrittore può veramente entrare in contatto coi suoi lettori; non posso che essere d’accordo e aggiungere che, da narcisisti patologici quali sono, agli scrittori piace da matti parlare di loro stesso e del loro lavoro di fronte a un pubblico.

Il problema è che a volte (spesso!) il pubblico non c’è e, vuoi perché le presentazioni sono viste come una cosa noiosa, vuoi perché l’evento è stato mal pubblicizzato, vuoi perché proprio non ti caga nessuno, ci si ritrova a parlare di fronte agli unici due amici che hanno avuto la pietà di venirti ad ascoltare.

Per fortuna lo scorso quattro aprile alla birreria Crua non è stato così.

Certo, il luogo dell’evento ha fatto la differenza: se dici a qualcuno: “vieni a sentirmi che presento la mia raccolta di racconti in libreria” quello si aspetta die ore di noia e bla bla bla, se invece cambi le prime quattro vocali e dici BIRReria, quello pensa: male che vada mi sbronzo come non ci fosse un domani, e viene a vederti.

Ed è proprio quello che è successo l’altra sera: abbiamo riempito il locale anzi, ce ne siamo proprio impadroniti (Scusa, Camilla!) abbiamo parlato di me (poco), del mio libro (abbastanza) e bevuto (molto). A dispetto delle mie previsioni pessimistiche è stata una delle migliori serate libresche a cui ho partecipato e posso dire, strano per me, che sono molto soddisfatto!

Questo però è uno di quei casi in cui le parole non sono adatte a descrivere l’evento, perciò lascio che a parlare siano le immagini.

Grazie a chi c’era, a chi non c’era ma voleva esserci, a chi c’era ma voleva essere da qualche altra parte e anche a chi non c’era, insomma, grazie a tutti!

Appunti di uno che scrive: la ricerca dell’editore

macchina da scrivere con foglio con su scritto END

Conoscete qualche scrittore? Bene, se dice che scrive per se stesso, che non gli importa di chi lo legge, non credetegli: tutti quelli che dicono di scrivere lo fanno per essere letti, nessuno escluso; chi non vuole un pubblico tiene i suoi manoscritti nascosti e non racconta in giro che li scrive.

Non tutti però arrivano alla pubblicazione, quasi nessuno ci arriva facilmente, pochi sono poi soddisfatti dei risultati ottenuti e una percentuale minima guadagna abbastanza per vivere con i libri pubblicati.

Lo ripeto, più per me che per voi:

A fare lo scrittore non ci si campa.

Sì, è vero, ma sai, forse io, o magari una botta di c… no, piuttosto prova il trading on line, le criptovalute, i trucchi che i padroni dei casinò non ti vogliono far sapere o il superenalotto, ma non pensare di far soldi scrivendo.

Chiarito questo concetto, passiamo subito a enunciare un’altra grande verità:

L’editore perfetto non esiste (nemmeno se sei tu).

Mi spiego meglio: se si vuole pubblicare esistono 2 possibili strade: cercarsi un editore oppure fare da soli. Se siete minimamente interessati alle dinamiche editoriali, in rete avrete già trovato migliaia di discussioni e altrettanti flame su quale delle due sia meglio. Io le ho seguite entrambe perché mi piace avere sempre più di una possibilità, e penso che ci siano pro e contro in ognuna delle due.

In estrema sintesi, le differenze tra l’autopubblicazione e la pubblicazione con editore sono: l’editore, in cambio di una percentuale (maggioritaria) sui diritti di sfruttamento commerciale dell’opera si occupa dell’editing, della copertina, della stampa, della commercializzazione e della distribuzione del vostro libro, cose che nell’autopubblicazione dovete fare da voi e, credetemi, anche se pensate di essere bravi a editare voi stessi e a farvi le copertine, non è vero, avrete bisogno di qualcuno che vi aiuti, possibilmente non vostro cugino. Allora perché il self publishing? Perché se fate da soli avete il controllo su tutte le fasi del processo editoriale, dalla scrittura alla vendita e, se fate le cose bene, il guadagno a copia venduta è sicuramente maggiore. Però dovete fare le cose bene, e non è facile.

In tutto questo ho volutamente trascurato l’editoria a pagamento: un editore serio non chiede soldi per pubblicarvi, ma ottiene il guadagno attraverso le vendite del libro, proprio come voi. Dovete diffidare di qualsiasi contratto che preveda un contributo dell’autore, anche sotto forma di acquisto obbligato di copie per due motivi:

  1. Se pagate voi l’editore, questi non ha nessun interesse a realizzare un prodotto appetibile per il pubblico e a commercializzarlo, perché il suo guadagno l’ha già realizzato con i vostri soldi;
  2. con il contributo chiesto dall’editore potete pagarvi invece un editor e un copertinista e poi autopubblicarvi, con maggiori soddisfazioni.

Detto ciò, per trovare un editore quello che bisogna fare è cercarlo. Tautologico, vero? Sì, ma non così scontato: un editore non vi proporrà mai di sua sponte un contratto, siete voi che dovete inviare il manoscritto e fare in modo che vi noti nella marea di email che riceve. Sfatiamo subito due miti:

  1. non è vero che vengono pubblicati solo quelli che hanno conoscenze, vengono pubblicati quelli che hanno, o sono, un prodotto vendibile, vendibile per l’editore, che ragiona con logiche diverse dalle vostre perché normalmente con l’attività editoriale ci paga le bollette e non lo fa per hobby come la maggior parte degli scrittori esordienti.
  2. La casa editrice non vi ruberà il manoscritto per poi pubblicarlo a nome di un altro, primo perché probabilmente fa schifo e secondo, perché poi dovrebbe pagare un ghostwriter per rivederlo, correggerlo e sistemarlo, cosa che lo scrittore esordiente fa di buon grado gratis.
uomo con binocolo nel deserto
dov’è la casa editrice giusta per me?

Come si fa a contattare una casa editrice? Semplice: si va sul loro sito alla sezione “manoscritti” e si seguono le regole che quasi sicuramente hanno scritto. Ci sono comunque delle regole di validità generale, basate più che altro sul buon senso ma che è sempre meglio non dare per scontate.

  • Seguite le indicazioni che vi danno: se richiedono sinossi e primi quattro capitoli è inutile mandare tutto il manoscritto; se accettano solo invii cartacei, non mandate una mail, tanto la cestinano.
  • Sembra banale, ma siate cortesi: nel corpo della lettera salutatevi, presentatevi brevemente, ringraziate per l’attenzione, firmatevi lasciando anche il recapito telefonico. una mail vuota con un allegato word non è il miglior biglietto da visita.
  • non lodatevi né mortificatevi, non millantate amicizie altolocate, non usate font strani o colori sgargianti, non cercate di fare gli originali a tutti i costi, quello che conta è il manoscritto.
  • curate la sinossi, è la prima cosa che viene letta. Se non riuscite a riassumere l’idea portante del romanzo in poche righe, forse non c’è un’idea portante.
  • se dicono che vi faranno sapere entro sei mesi, non chiamate dopo una settimana.
  • inviate a case editrici che hanno una linea editoriale corrispondente alla vostra opera; se avete scritto un romanzo di formazione ambientato nella Danimarca del settecento, difficilmente lo vedrete pubblicato da Fanucci. A meno che non ci siano i robot, ovviamente.

Come ho scritto all’inizio, la casa editrice perfetta non esiste, non perché gli editori non facciano bene il loro lavoro, semplicemente perché la perfezione non è di questo mondo e se un editore è forte in un campo, come la presenza fisica alle fiere, può non esserlo altrettanto sui social, per esempio, ma questo non vuol dire che non si possa stabilire una collaborazione proficua e basata sulla fiducia.

Devo ammettere che io sono stato fortunato: ho pubblicato due libri con due case editrici diverse, e un terzo sta per uscire con un’altra; cono ogni editore mi sono trovato bene, ho creato un rapporto basato sulla fiducia e l’amicizia, ho imparato e mi sono pure divertito.

Il mio primo romanzo – Storie di Okkervill – è uscito con Gainsworth Publishing, una piccola casa editrice specializzata in fantasy: sono molto selettivi, pubblicano pochi titoli l’anno, curano particolarmente la stampa e la veste grafica ma non tralasciano la presenza in ebook sui principali store. Non fanno molte fiere, ma in quelle a cui partecipano si spendono molto per eventi e presentazioni.

Nella botte piccola ci sta il vino cattivo, pur essendo il primo romanzo che ho scritto, è uscito successivamente con Nativi Digitali Edizioni, una casa editrice di Bologna che, come dice il nome, è nata proponendo opere in ebook anche se si è successivamente allargata al cartaceo. Fedeli al loro spirito, i Nativi basano la loro strategia di marketing prevalentemente sulla presenza i rete, attraverso il loro sito e sui social, anche se ogni tanto potete vederli a fiere e manifestazioni in giro per l’Italia. Hanno un catalogo ampio, apprezzano le storie fuori dalle righe che hanno qualcosa di originale.

Niente di umano all’orizzonte è una raccolta di racconti e uscirà i primi di aprile per Scatole Parlanti, uno dei tre marchi editoriali del Gruppo Alter Ego. Sono appena entrato nella loro scuderia quindi non posso fornire giudizi completi ma sono rimasto molto colpito dalla loro professionalità e dalla visione chiara che hanno del loro lavoro. Comunicazione puntuale anche via telefono, chiarezza, supporto all’autore e massima disponibilità sono caratteristiche che ho notato fin da subito.

Concludo dicendo che le piccole realtà editoriali italiane, come quelle che ho descritto sopra, fanno un lavoro difficile e irto di ostacoli, in cui le soddisfazioni sono poche e i bocconi amari da ingoiare tanti, ma realizzano spesso prodotti di ottima qualità che non hanno nulla da invidiare a quelli delle grandi realtà italiane ed estere. Comprare un libro di un piccolo editore è una piccola spesa che però può aiutare imprenditori giovani e coraggiosi, rendere felice un autore e regalarvi preziosi momenti di piacere nella lettura.

Appunti di uno che scrive: la storia

scrittura a mano di un bambino piccolo

Eccoci qua: avete avuto la grande idea, vi siete presi il vostro tempo per scrivere e siete pronti davanti al vostro quadernino o al computer. E adesso? adesso vi serve la storia!

Anche in questo caso le strade da percorrere sono essenzialmente due: si può procedere a vista, scrivendo la storia man mano come viene in mente, oppure si può creare la famigerata scaletta e seguirla lungo il percorso della storia.

Se avete mai frequentato un corso di scrittura creativa saprete con certezza che TUTTI consigliano di preparare una scaletta prima della stesura vera e propria e di seguirla; tuttavia, se siete come me piuttosto che fare una scaletta prima vi tagliereste un dito con un coltello arrugginito.

Io odio le scalette, ho provato a prepararle ma sono tutte irrimediabilmente finite nel cestino o rimaste ignorate; programmare non fa per me, proprio non ce la faccio. Qualcuno potrebbe arguire che senza una scaletta non si può ottenere una trama coerente e di sostanza, questo però lo dovete giudicare voi lettori; io, a mia parziale discolpa, posso citare le parole di uno che di trame ne sa qualcosa più di me:

La vita stessa ci dimostra che è quasi impossibile fare programmi, perché poi accade sempre qualcosa che li fa cambiare o saltare. Dunque perché dovresti perdere tempo e ostinarti a tessere una trama prima di cominciare a scrivere?

Stephen King, On Writing. Autobiografia di un mestiere

Scaletta o no, la cosa alla fine importante è dedicarsi alla propria storia con impegno e amore, coccolarla, trattarla bene e farla crescere, perché la storia è la cosa più importante, quella senza cui il vostro libro non potrebbe esistere.

Ed è anche il momento in cui vi divertirete di più, perché poi viene l’editing e con esso le lacrime…

Ma di questo parlerò un’altra volta.

Non c’ho tempo per leggere!

Copertina di Storie di Okkervill con orologio

Io vorrei leggere ma non c’ho tempo!

Ho sentito Questa frase centinaia di volte e per ognuna mi incazzo di più: non è vero, non è il tempo che ti manca, è la voglia.

Come gran parte delle persone, ho un lavoro che mi impegna dalle 8 alle 10 ore al giorno, vado a fare la spesa, guardo la TV, mangio, cerco di stare con mio figlio il più possibile e sto anche provando a ricrearmi una vita sociale, però, come dice la mia pagina Goodreads (sono un catalogatore compulsivo, lo so) l’anno scorso ho letto 40 libri. Perché sono più bravo degli altri? Perché dormo poco? Perché uso tecniche speciali di lettura veloce?
No. Perché mi piace leggere e mi ritaglio il tempo per farlo.

Leggo la sera, invece di guardare la TV; dopo pranzo nei weekend; leggo in aereo e in treno, e quando viaggio porto sempre il Kindle con me. A volte leggo anche in pausa pranzo al lavoro.

Ma non è un sacrificio o un obbligo, io sono contento di ritagliarmi del tempo per la lettura, leggere mi dà piacere, mi diverte, e più riesco a farlo più sto bene.

La mancanza di tempo è solo una scusa: uno studio del 2012 ha stimato che la velocità media di lettura per l’italiano è 188 parole al minuto (se volete saggiare la vostra velocità di lettura andate qui), perciò, facendo un rapido conto, per leggere le 244 pagine che compongono Alieni a Crema del mio amico Lorenzo Sartori, cosa che vi consiglio vivamente, ci vogliono circa 5 ore e 24 minuti, una decina di giorni ritagliandosi una mezz’oretta al giorno. Non mi sembra uno sforzo sovrumano, no?

Non sono qui per dirvi che dovete leggere, credo che la lettura, soprattutto di narrativa, debba essere un piacere e non un’imposizione perché “è un’attività culturale;” ognuno di noi ha già abbastanza obblighi in molti aspetti della sua vita ed è giusto che nel suo tempo libero faccia quello che gli pare, sia guardare un film, videogiocare, andare in birreria o qualsiasi altra cosa. Per favore non venitemi a dire che non avete tempo per leggere, il tempo si trova se c’è la voglia, se invece quella non c’è, ammettetelo chiaramente vivrete più sereni voi e non farete incazzare me 🙂

Se però state leggendo questo blog, significa che la letteratura vi interessa almeno un pochino, oppure che siete uno dei pochi amici che ancora mi caga; in entrambi i casi dovreste sapere che io, oltre a leggere, scrivo qualcosina, quindi fate l’ultimo sforzo per rendermi felice e andate a vedere qui.

Grazie!

EDIT: a questo link potete leggere il racconto completo da cui sono stati i brani per il test sulla velocità di lettura.

Appunti di uno che scrive: farsi venire l’idea

i have only great ideas

Il mondo degli aspiranti scrittori si può dividere in due grandi categorie: quella dei Io ho un sacco di idee fighissime per un romanzo ma non ho tempo per scriverle, e quella dei ma come fai ad avere tutte ste idee? Io vorrei scrivere ma non mi viene in mente nulla…

L’idea è spesso il cruccio di chi si appresta a scrivere una storia: si cerca – giustamente – di essere originali, di avere in testa qualcosa di forte da cui partire, e ci si arena ancora prima di iniziare la scrittura, alla disperata ricerca della tanto agognata idea geniale.

Dall’alto della mia esperienza (una decina di centimetri, più o meno lo spessore dei libri che ho scritto impilati un sull’altro) posso dire che la mancanza di idee è un falso problema: le idee arrivano, basta essere ricettivi e allenati ad accoglierle. Come ho scritto nel post precedente, uno dei momenti in cui la mia vena creativa si sviluppa di più è quando sono sotto la doccia, ma quella è solo l’occasione in cui riesco a essere isolato dal mondo e a concretizzare le idee in una traccia su cui basarmi per scrivere.

Le idee però vengono da tutt’altra parte, vengono dal mondo di fuori, dalle letture, dalle notizie su internet o in tv, vengono da qualcosa che ha detto un amico o un collega… vengono e si sedimentano in un angolino del cervello per poi saltar fuori all’improvviso, combinarsi fra loro e formare lo spunto per una storia. E guardate che non lo dico solo io, ma anche un certo Stephen King…

Non esiste un Deposito delle Idee, non c’è una Centrale delle Storie, un’Isola dei Best-Seller sepolti; le idee per un buon racconto spuntano a quel che sembra letteralmente dal nulla, ti piombano addosso di punti in bianco: due pensieri che prima erano del tutto indipendenti tutto a un tratto trovano un punto d’incontro e si concretizzano in qualcosa di assolutamente nuovo. Il tuo compito non è trovare queste idee ma riconoscerle quando si manifestano.

da: On Writing. Autobiografia di un mestiere

Per la mia raccolta di racconti – Ve l’ho detto che a fine marzo uscirà il mio nuovo libro? – alcune idee le ho trovate al lavoro: La Fabbrica, per esempio, è nato mentre studiavo l’industria 4.0; Il Colloquio deriva invece dalla mia frustrazione per le continue interviste di lavoro infruttuose, unita a un certo istinto omicida; gli altri racconti invece da… beh, mica vi posso svelare tutto, altrimenti che lo comprate a fare il libro?

Fino a qui comunque c’è stata la parte facile, adesso, con l’idea chiara in testa, bisogna cominciare a scrivere la storia, e questo è tutto un altro paio di maniche…

Appunti di uno che scrive: la nascita di un libro

Julien Blaine, Macchina per scrivere fotografata da me alla mostra Poetic Boom Boom, Galleria delle Prigioni, Treviso

Il mondo è pieno di scrittori. Pullula, straborda di scrittori, ne è infestato. Che se ci pensate non è neppure così strano, visto che a tutti piace raccontare storie, magari infarcendole di particolari, esagerando la realtà oppure inventandosi intere parti di sana pianta.

Nonostante sappia di essere solo uno in mezzo alla folla, lo scrittore medio è però convinto di essere più bravo delle massa di semianalfabeti che lo circonda e ritiene il suo manoscritto l’unico e il solo che valga la pena di essere stampato in milioni di copie affinché il mondo possa saziarsi di cotanta bellezza. Convinzione che ovviamente si frantumerà contro la solida muraglia di rifiuti opposti dalle case editrici.

Esistono tuttavia alcuni metodi che permettono di distinguere lo scrittore (mediamente) bravo da quello pessimo, e il primo fra tutti è:

Lo scrittore bravo scrive, quello pessimo dice di scrivere.

Sembra una frase banale ma non lo è: la cosa più difficile da fare quando si scrive un libro è proprio mettersi a scriverlo, c’è così tanto altro da fare, navigare in internet alla ricerca di ispirazione; postare sui social foto davanti al computer o col quadernino in mano; parlare con altri scrittori di quanto alcuni scrittori facciano schifo; rosicare di fronte a gente che ha pubblicato e venduto più di noi… insomma, abbiamo così poco tempo, volte anche che ci si metta a scrivere, che poi tanto lo sappiamo tutti che pubblicano solo i raccomandati.

Io che, pur essendo uno di quelli bravi resto comunque umile, il libro l’ho già scritto (veramente ne ho scritto più d’uno ma non mi piace vantarmi) e sono anche riuscito, senza raccomandazioni badare bene, a farlo accettare da una casa editrice che lo pubblicherà a breve. Si tratta di una raccolta di tredici racconti distopici che…
Vabbè, il libro uscirà tra qualche settimana nella collana “Mondi” di Scatole Parlanti Edizioni, è bellissimo e voi DOVETE ASSOLUTAMENTE COMPRARLO, CAPITO?!?

Ora che ho fatto la mia marchetta pubblicitaria vengo al punto (pare che lo storyrelling funzioni per convincere le persone a comprare i libri…) cioè all’idea geniale che mi è venuta: raccontare come è nato *libro più bello del mondo* (con la casa editrice non abbiamo ancora deciso il titolo quindi ne ho messo uno provvisorio di poche pretese…) descrivendo una per una tutte le fasi dalla nascita dell’idea al libro finito.

bene, allora cominciamo! Anzi no, inizieremo nel prossimo post…