A volte capita, ma solo a volte, che una presentazione vada bene e che il pubblico presente, oltre a esserci, cosa non del tutto scontata, ascolti gli sproloqui dell’autore e alla fine decida perfino di comprare una copia del libro.
Ora, riprendendo un mio post precedente, mi sono fatto un’idea sul pubblico tipico di una presentazione che, da buon markettaro, illustrerò di seguito con un grafico a torta (lo so, i grafici a torta sono bellissimi).
Considerando una generica presentazione con un pubblico ragionevole, diciamo dieci persone, l’audience è così composto:
amici e parenti dello scrittore
4
habitué del locale che si confondono con l’arredamento
3
persone entrate per sbaglio o perché fuori piove
2
sconosciuti realmente interessati
1
totale
10
il bellissimo grafico a torta che rappresenta il pubblico tipico di una presentazione (ve l’ho detto che amo i grafici a torta?)
È perciò poco probabile che qualcuno compri una copia del vostro libro, soprattutto dopo la prima presentazione, quando il bacino di acquisto da parte di amici e parenti si è esaurito. Tralasciando il 40% delle persone presenti che avete invitato voi, c’è comunque la remota possibilità che nel restante 60% ci sia qualcuno che, convinto dalla vostra performance o più probabilmente mosso a compassione, decida di prendere il libro.
A quel punto è molto probabile che si avvicini per chiedervi una dedica, richiesta a cui dovete farvi trovare pronti.
di seguito quindi elencherò, come sempre in ordine sparso e in modo parziale,
le cose da sapere quando scrivete una dedica.
premuratevi di avere con voi una penna. È piuttosto antipatico dover chiedere la penna al lettore, perché poi la userete anche per la persona successiva costringendo l’altro a starvi appiccicato tutto il tempo come un avvoltoio in attesa della preda, per farsi ridare la penna.
Io porto sempre con me le mie due penne preferite per firmare dediche in tutta comodità e sicurezza.
Chiedete il nome alla persona, non è carino dedicare il libro a Lisa anziché Luisa, o confondersi perché credete di conoscere chi avete davanti.
Ci sono due scuole di pensiero per le dediche: quella per cui si scrive una frase personalizzata a ognuno e quella in cui invece si usa sempre la stessa frase generica (un mio amico opta per la terza via, quella di scrivere titoli di film che gli sono piaciuti invece che la dedica, originale ma non so se apprezzata da tutti. Io propendo per la dedica personalizzata, mi sembra un gesto di rispetto e cura verso i propri lettori. L’unica cosa da non fare è firmare e basta, potrebbe risultare fruttuoso al vostro lettore nel caso voi diventaste famosi o moriste improvvisamente, ma comunque non è di buon gusto.
potete scrivere titoli di film al posto della dedica…
ma non firmate e basta!
Scrivete in modo comprensibile, eventualmente in stampatello, non è carino che il lettore arrivi a casa, apra il libro, e si trovi quattro scarabocchi incomprensibili sulla prima pagina.
Sorridete, la persona che avete davanti ha appena speso dei soldi per voi dopo avervi sentito blaterare per un’ora, il minimo che si merita è un po’ di gentilezza.
Spendete un po’ di tempo chiacchierando col lettore, magari chiedetegli anche di farvi sapere come ha trovato il libro, ben pochi lo faranno, ma è un modo per instaurare un rapporto.
Non arrabbiatevi se qualcuno dopo la presentazione non compra una copia, non potete conoscere le sue disponibilità economiche né i suoi gusti letterari, vi ha già fatto un favore ascoltandovi.
guardate la gioia di una lettrice dopo che gli avete scritto una bella dedica…
OK, credo di aver detto più o meno tutto quello che mi veniva in mente, quindi posso lasciarvi con qualche foto della mia ultima presentazione alla Libreria San Leonardo di Treviso, dove ho anche firmato qualche dedica!
Conoscete qualche scrittore? Bene, se dice che scrive per se stesso, che non gli importa di chi lo legge, non credetegli: tutti quelli che dicono di scrivere lo fanno per essere letti, nessuno escluso; chi non vuole un pubblico tiene i suoi manoscritti nascosti e non racconta in giro che li scrive.
Non tutti però arrivano alla pubblicazione, quasi nessuno ci arriva facilmente, pochi sono poi soddisfatti dei risultati ottenuti e una percentuale minima guadagna abbastanza per vivere con i libri pubblicati.
Lo ripeto, più per me che per voi:
A fare lo scrittore non ci si campa.
Sì, è vero, ma sai, forse io, o magari una botta di c… no, piuttosto prova il trading on line, le criptovalute, i trucchi che i padroni dei casinò non ti vogliono far sapere o il superenalotto, ma non pensare di far soldi scrivendo.
Chiarito questo concetto, passiamo subito a enunciare un’altra grande verità:
L’editore perfetto non esiste (nemmeno se sei tu).
Mi spiego meglio: se si vuole pubblicare esistono 2 possibili strade: cercarsi un editore oppure fare da soli. Se siete minimamente interessati alle dinamiche editoriali, in rete avrete già trovato migliaia di discussioni e altrettanti flame su quale delle due sia meglio. Io le ho seguite entrambe perché mi piace avere sempre più di una possibilità, e penso che ci siano pro e contro in ognuna delle due.
In estrema sintesi, le differenze tra l’autopubblicazione e la pubblicazione con editore sono: l’editore, in cambio di una percentuale (maggioritaria) sui diritti di sfruttamento commerciale dell’opera si occupa dell’editing, della copertina, della stampa, della commercializzazione e della distribuzione del vostro libro, cose che nell’autopubblicazione dovete fare da voi e, credetemi, anche se pensate di essere bravi a editare voi stessi e a farvi le copertine, non è vero, avrete bisogno di qualcuno che vi aiuti, possibilmente non vostro cugino. Allora perché il self publishing? Perché se fate da soli avete il controllo su tutte le fasi del processo editoriale, dalla scrittura alla vendita e, se fate le cose bene, il guadagno a copia venduta è sicuramente maggiore. Però dovete fare le cose bene, e non è facile.
In tutto questo ho volutamente trascurato l’editoria a pagamento: un editore serio non chiede soldi per pubblicarvi, ma ottiene il guadagno attraverso le vendite del libro, proprio come voi. Dovete diffidare di qualsiasi contratto che preveda un contributo dell’autore, anche sotto forma di acquisto obbligato di copie per due motivi:
Se pagate voi l’editore, questi non ha nessun interesse a realizzare un prodotto appetibile per il pubblico e a commercializzarlo, perché il suo guadagno l’ha già realizzato con i vostri soldi;
con il contributo chiesto dall’editore potete pagarvi invece un editor e un copertinista e poi autopubblicarvi, con maggiori soddisfazioni.
Detto ciò, per trovare un editore quello che bisogna fare è cercarlo. Tautologico, vero? Sì, ma non così scontato: un editore non vi proporrà mai di sua sponte un contratto, siete voi che dovete inviare il manoscritto e fare in modo che vi noti nella marea di email che riceve. Sfatiamo subito due miti:
non è vero che vengono pubblicati solo quelli che hanno conoscenze, vengono pubblicati quelli che hanno, o sono, un prodotto vendibile, vendibile per l’editore, che ragiona con logiche diverse dalle vostre perché normalmente con l’attività editoriale ci paga le bollette e non lo fa per hobby come la maggior parte degli scrittori esordienti.
La casa editrice non vi ruberà il manoscritto per poi pubblicarlo a nome di un altro, primo perché probabilmente fa schifo e secondo, perché poi dovrebbe pagare un ghostwriter per rivederlo, correggerlo e sistemarlo, cosa che lo scrittore esordiente fa di buon grado gratis.
dov’è la casa editrice giusta per me?
Come si fa a contattare una casa editrice? Semplice: si va sul loro sito alla sezione “manoscritti” e si seguono le regole che quasi sicuramente hanno scritto. Ci sono comunque delle regole di validità generale, basate più che altro sul buon senso ma che è sempre meglio non dare per scontate.
Seguite le indicazioni che vi danno: se richiedono sinossi e primi quattro capitoli è inutile mandare tutto il manoscritto; se accettano solo invii cartacei, non mandate una mail, tanto la cestinano.
Sembra banale, ma siate cortesi: nel corpo della lettera salutatevi, presentatevi brevemente, ringraziate per l’attenzione, firmatevi lasciando anche il recapito telefonico. una mail vuota con un allegato word non è il miglior biglietto da visita.
non lodatevi né mortificatevi, non millantate amicizie altolocate, non usate font strani o colori sgargianti, non cercate di fare gli originali a tutti i costi, quello che conta è il manoscritto.
curate la sinossi, è la prima cosa che viene letta. Se non riuscite a riassumere l’idea portante del romanzo in poche righe, forse non c’è un’idea portante.
se dicono che vi faranno sapere entro sei mesi, non chiamate dopo una settimana.
inviate a case editrici che hanno una linea editoriale corrispondente alla vostra opera; se avete scritto un romanzo di formazione ambientato nella Danimarca del settecento, difficilmente lo vedrete pubblicato da Fanucci. A meno che non ci siano i robot, ovviamente.
Come ho scritto all’inizio, la casa editrice perfetta non esiste, non perché gli editori non facciano bene il loro lavoro, semplicemente perché la perfezione non è di questo mondo e se un editore è forte in un campo, come la presenza fisica alle fiere, può non esserlo altrettanto sui social, per esempio, ma questo non vuol dire che non si possa stabilire una collaborazione proficua e basata sulla fiducia.
Devo ammettere che io sono stato fortunato: ho pubblicato due libri con due case editrici diverse, e un terzo sta per uscire con un’altra; cono ogni editore mi sono trovato bene, ho creato un rapporto basato sulla fiducia e l’amicizia, ho imparato e mi sono pure divertito.
Il mio primo romanzo –Storie di Okkervill – è uscito con Gainsworth Publishing, una piccola casa editrice specializzata in fantasy: sono molto selettivi, pubblicano pochi titoli l’anno, curano particolarmente la stampa e la veste grafica ma non tralasciano la presenza in ebook sui principali store. Non fanno molte fiere, ma in quelle a cui partecipano si spendono molto per eventi e presentazioni.
Nella botte piccola ci sta il vino cattivo, pur essendo il primo romanzo che ho scritto, è uscito successivamente con Nativi Digitali Edizioni, una casa editrice di Bologna che, come dice il nome, è nata proponendo opere in ebook anche se si è successivamente allargata al cartaceo. Fedeli al loro spirito, i Nativi basano la loro strategia di marketing prevalentemente sulla presenza i rete, attraverso il loro sito e sui social, anche se ogni tanto potete vederli a fiere e manifestazioni in giro per l’Italia. Hanno un catalogo ampio, apprezzano le storie fuori dalle righe che hanno qualcosa di originale.
Niente di umano all’orizzonte è una raccolta di racconti e uscirà i primi di aprile per Scatole Parlanti, uno dei tre marchi editoriali del Gruppo Alter Ego. Sono appena entrato nella loro scuderia quindi non posso fornire giudizi completi ma sono rimasto molto colpito dalla loro professionalità e dalla visione chiara che hanno del loro lavoro. Comunicazione puntuale anche via telefono, chiarezza, supporto all’autore e massima disponibilità sono caratteristiche che ho notato fin da subito.
Concludo dicendo che le piccole realtà editoriali italiane, come quelle che ho descritto sopra, fanno un lavoro difficile e irto di ostacoli, in cui le soddisfazioni sono poche e i bocconi amari da ingoiare tanti, ma realizzano spesso prodotti di ottima qualità che non hanno nulla da invidiare a quelli delle grandi realtà italiane ed estere. Comprare un libro di un piccolo editore è una piccola spesa che però può aiutare imprenditori giovani e coraggiosi, rendere felice un autore e regalarvi preziosi momenti di piacere nella lettura.