Niente di umano all’orizzonte

Per un attimo ho pensato di mettere come immagine in evidenza del post la foto di quel bambino trovato morto sulla spiaggia dopo che il barcone sui cui attraversava il Mediterraneo è naufragato, ma mi sono sentito immediatamente una merda: certo, avrebbe ben rappresentato uno dei racconti contenuti nella mia nuova raccolta, Scafisti, ma come avrei potuto sfruttare la morte di un bambino per un’operazione di marketing? Farei carte false per vendere più libri, ma voglio ancora guardarmi allo specchio la mattina.

Nelle mie intenzioni originarie, questo post doveva parlarvi del mio libro in uscita, poi però la mia mente continuava ad andare al ricordo di quel bambino, e più ci pensavo più mi sentivo in colpa per aver anche solo pensato di sfruttarla per un mio tornaconto personale.

Il pensiero mi ha colpito più profondamente di quel che pensavo, non tanto per l’episodio quanto per le conseguenze che porta con sé: quante volte ho ragionato senza accorgermene nel modo che ora sto criticando? Quante volte ho reputato più importante il mio tornaconto, un possibile vantaggio per me invece dell’alleviare la sofferenza di altri? In una parola:

quante volte ho accantonato la mia umanità?

E ho realizzato che questo è proprio il tema della mia raccolta di racconti: la perdita dell’umanità. Non è stata una decisione pianificata e nemmeno una scelta cosciente a posteriori: ho cominciato a scrivere il primo racconto, La Fabbrica, sulla base di una suggestione avuta mentre mi documentavo per lavoro sui temi dell’industria 4.0 e poi sono andato avanti, traducendo in storie idee e immagini che arrivavano dalle fonti più disparate, ritrovandomi alla fine con tredici racconti in mano. Quando mi chiedevano di cosa parlassero spiegavo del rapporto tra uomo e tecnologia, della rivoluzione dei social network, delle fake news, elencando ogni racconto come fosse un’entità a sé stante, indipendente dagli altri e finita nella raccolta quasi per necessità di creare un prodotto editoriale.

Poi, mentre chattavo col mio editor per decidere il titolo, me ne sono reso conto: inconsciamente, tutto quello che ho scritto parla sempre della stessa cosa, di come a volte le persone smettono di provare i sentimenti che le rendono umani: l’empatia, l’amore per il prossimo, la generosità… e compiono atti che in qualche modo sono terribili, senza nemmeno rendersi conto di quello che stanno facendo. Non scelgono coscientemente il male, ma sono così presi dal loro piccolo mondo che si scordano di quello ben più vasto e popolato in cui vivono; diventano automi, o mostri, o smettono di vivere e si trasformano in esseri apatici senza passioni. Non sono più umani.

Questa è la magia della scrittura: conosci il punto di partenza, magari studi anche un percorso preciso, ma poi è come aprire la stanza del tesoro da cui trabocca qualcosa che non avevi mai immaginato e che ti fa capire qualcosa di più sul mondo e su te stesso.

ah, alla fine il titolo l’ho trovato: il libro si chiamerà

Niente di Umano all’Orizzonte

e uscirà a fine marzo per Scatole Parlanti.

Appunti di uno che scrive: la nascita di un libro

Julien Blaine, Macchina per scrivere fotografata da me alla mostra Poetic Boom Boom, Galleria delle Prigioni, Treviso

Il mondo è pieno di scrittori. Pullula, straborda di scrittori, ne è infestato. Che se ci pensate non è neppure così strano, visto che a tutti piace raccontare storie, magari infarcendole di particolari, esagerando la realtà oppure inventandosi intere parti di sana pianta.

Nonostante sappia di essere solo uno in mezzo alla folla, lo scrittore medio è però convinto di essere più bravo delle massa di semianalfabeti che lo circonda e ritiene il suo manoscritto l’unico e il solo che valga la pena di essere stampato in milioni di copie affinché il mondo possa saziarsi di cotanta bellezza. Convinzione che ovviamente si frantumerà contro la solida muraglia di rifiuti opposti dalle case editrici.

Esistono tuttavia alcuni metodi che permettono di distinguere lo scrittore (mediamente) bravo da quello pessimo, e il primo fra tutti è:

Lo scrittore bravo scrive, quello pessimo dice di scrivere.

Sembra una frase banale ma non lo è: la cosa più difficile da fare quando si scrive un libro è proprio mettersi a scriverlo, c’è così tanto altro da fare, navigare in internet alla ricerca di ispirazione; postare sui social foto davanti al computer o col quadernino in mano; parlare con altri scrittori di quanto alcuni scrittori facciano schifo; rosicare di fronte a gente che ha pubblicato e venduto più di noi… insomma, abbiamo così poco tempo, volte anche che ci si metta a scrivere, che poi tanto lo sappiamo tutti che pubblicano solo i raccomandati.

Io che, pur essendo uno di quelli bravi resto comunque umile, il libro l’ho già scritto (veramente ne ho scritto più d’uno ma non mi piace vantarmi) e sono anche riuscito, senza raccomandazioni badare bene, a farlo accettare da una casa editrice che lo pubblicherà a breve. Si tratta di una raccolta di tredici racconti distopici che…
Vabbè, il libro uscirà tra qualche settimana nella collana “Mondi” di Scatole Parlanti Edizioni, è bellissimo e voi DOVETE ASSOLUTAMENTE COMPRARLO, CAPITO?!?

Ora che ho fatto la mia marchetta pubblicitaria vengo al punto (pare che lo storyrelling funzioni per convincere le persone a comprare i libri…) cioè all’idea geniale che mi è venuta: raccontare come è nato *libro più bello del mondo* (con la casa editrice non abbiamo ancora deciso il titolo quindi ne ho messo uno provvisorio di poche pretese…) descrivendo una per una tutte le fasi dalla nascita dell’idea al libro finito.

bene, allora cominciamo! Anzi no, inizieremo nel prossimo post…